lunedì 10 dicembre 2007

Ventiduesima

I più grandi pensatori sono ebrei
e i più grandi scrittori sono gesuiti
mancati, e non c'è grande pittore che
non abbia amato bellezza e religione,
prova a citarmi un grande musicista che
non abbia sofferto la mistica della
propria creazione.
Tutto questo, cara mia,
viene dall'infinito, dall'essere e non.
Ah! poter amare un
artista, gli donerei tutto per una sua
lacrima sul mio letto
a Venezia
verso l'alba
dopo una notte lunare
fra i ciap ciap delle onde
e l'indifferenza del mare
per le alte maree del cuore.
Ci stai?
o preferisci i soliti boys
che dell'artista hanno solo l'aria
di una Marcia su Roma.

Cinquantatrèesima

Lettura di poesia a Milano.
Leggono giovani poeti
col taglio di capelli giusto
entrati col grimaldello
nelle grasse Case Editrici.
Si alternano sul palco
morto dopo morto
si applaude nonsisacosa
funerale dopo funerale
Non si ride
Non si piange
Non si pensa.
Si sta lì a rompersi le palle
per cercare di conoscere qualcuno
importante che a sua volta
ha già avuto la rottura.
Si vorrebbe gridare, fare qualche scherzo,
citare D'Annunzio o Brecht o un mio
amico caro morto di catarro
per troppa commozione
scrivendo poesia.
Ma come provocare vitalità
fra giovani poeti nati
con alta percentuale di mortalità?
Anche la poesia non arriva a Chiasso.
«Caspita, hai fatto un passo avanti
da quella letta settimana scorsa»
(dice nell'intermezzo un giovane poeta).
«Mi compiaccio che tu l'abbia capito»
(risponde nell'intermezzo l'altro poeta).

Un poeta piccolo di statura Milanese
presenta a tutti sua madre sorridente
ed è l'unico che abbia qualcosa di nuovo
da mostrare oltre la nonna defunta
con la poesia dell'anno scorso.

Amici

O amici
miei compagni d'oggi
vi lascio questa stellata sera.
A uno a uno vi ho amato
con voi è stato bello soffrire
Contrastate idee zampillavano
ci davamo la mano o un abbraccio
salutandoci con penosa gioia
Oscure ironie balbettavamo
fra le gemme di un nuovo mondo
Mai uomo ha amato tanto
il dolore dell’altro
Ci sentivamo a casa
quando gridavamo senza speranze
che tutto dipendeva da noi
O amici
gridiamo ancora
perché tutto dipende da noi
Se ci lasceremo ancora
non sarà la prima volta
né l’ultima
Io resto con voi
lasciandovi

lunedì 3 dicembre 2007

Farcela

Prima che cedano le gambe al mio tavolino
Io devo farcela – ho impegnato il sangue
di mio nonno contadino e lo sguardo fisso
di mio padre morto – ho il loro pegno chiuso
in uno scrigno di umiliazioni


Quel giorno mia madre si aprirà in pianto
come nelle ricorrenze - le donerò il fiore
del mio stare in piedi davanti alle disgrazie
della mia gente – sul tavolo metterà
la tovaglia bianca ricamata in stalla


Per questo mio angolo di mondo io devo farcela
prima che tutti se ne vadano lasciandomi solo
coi miei singhiozzi.

Da POESIA DI PERIFIERIA - Editrice La Locusta Vicenza 1971